Siamo a Milano, in una mattina presumibilmente calda del 1878, precisamente il 10 giugno. Il Regno d’Italia è nato da neanche trent’anni e ha da fare decisamente molto per rivendicare il suo ruolo in Europa: in gran parte è ancora a regime rurale, oltre che in condizioni di forte arretratezza economica rispetto ad altre nazioni.
Da più di un decennio, da qui si è propagata in tutta l’Italia settentrionale e poi nel resto della penisola la cosiddetta Scapigliatura, un movimento artistico che s’interessa molto a quel confine labile che sussiste fra realtà esteriore e dimensione psichica. La ricerca è la conseguenza di una crisi profonda della cultura tradizionale di stampo borghese, a cui gli Scapigliati rispondono contrapponendo immagini che ovviamente nulla hanno a che vedere con il gusto imperante. Il risultato, fortemente anticonformista e antiaccademico, produce opere evanescenti, languide, per nulla simili alla produzione romantica italiana (alla Hayez, per intendersi) e piuttosto inclini a un dissolvimento di forme e contorni; confini abbattuti che lasciano margini molto ampi d’interpretazione.
Da qualche giorno però l’artista non sta molto bene: è provato da certi dolori al basso ventre che si manifestano sempre più forti. Ma il dipinto è quasi finito, figuriamoci se si può sospenderlo lì; che vuoi che sia, sono solo fitte e qui mancano pochi tocchi, vorrà dire che dopo rimango un po’ di più in bagno, magari faccio un riposino e passerà tutto.
E invece Tranquillo Cremona quella mattina muore.
La cosa inquietante è che il fatto che alcuni colori siano tossici se ne sa fin dall’antichità , almeno da quando Ippocrate, nel 370 a.C., fu il primo a riconoscere la colica avvelenante da piombo; e così nel suo celeberrimo Libro dell’arte Cennino Cennini scrive a proposito dell’orpimento (un color giallo aranciato ricavato dal solfuro di arsenico):
guardati da imbrattartene la bocca, che non ne riceva danno la persona,
Ma come l’orpimento si ricordano anche il realgar, i rossi ricavati da cadmio, da piombo e da mercurio, i verdi dall’arsenico e poi molte altre sostanze altamente tossiche che sono finite sulle tavolozze dei pittori. Un esempio su tutti: il verde di Parigi, una particolare tonalità smeraldo dell’omonimo colore, certo molto bella e intensa, si chiama così perché una volta scoperto il suo potenziale letale venne utilizzato per derattizzare le fogne della capitale francese, per dire.
Una possibilità interpretativa ce la fornisce Candido Portinari, uno dei principali pittori brasiliani del Novecento: quando i suoi medici gli consigliarono di smettere di utilizzare le vernici con cui realizzava i suoi murales, per non aggravare le patologie che lo avrebbero condotto alla morte nel 1962, commentò in proposito: “Mi vietano di vivere”.