Questa tavola, che Bill Watterson ha disegnato come poster dell’edizione 2015 del Festival di Angoulême, secondo me è un manuale di fumetto e un autentico atto d’amore nei confronti di questo linguaggio. Si parte con il protagonista che chiede al comprimario di andare a prendere un fumetto, il sorriso denota la sua brama. Tutto l’impianto si regge su questa brama, che alla fine diventa una ripicca. La complicazione avviene già alla seconda vignetta, e nella terza capiamo perché: la brama del protagonista non coincide con quella del comprimario, il cui fine era quello di giocare con la pubblicazione, distruggendone mezza. Nell’arco della prima striscia, in sole 5 vignette, si sono già delineati protagonista, antagonista e conflitto.
Senza contare il senso del ritmo e del movimento, ottenuto attraverso la gestione magistrale delle posture, degli oggetti in aria (le pagine) e del taglio delle figure. Nella prima vignetta i due sono compresi all’interno dei bordi: quiete. Dalla seconda in poi inizia la concitazione, che impedisce loro di rimanere confinati nei limiti grafici della vignetta; ne vengono tagliati e questo ci trasmette la sensazione che l’azione sia maggiore di quella che effettivamente vediamo.
Nella seconda striscia il protagonista ha apparentemente vinto, ma quella nuvoletta (sì, sono bestemmie) ci lascia percepire quanto sia rimasto agitato per l’accaduto. E la rabbia lo ha fatto agire avventatamente: nella seconda vignetta si rende conto che si è chiuso fuori casa. Notare il senso di movimento della mano che gira la maniglia: eccezionale nella sua sintesi.
La striscia si conclude con lui che, resosi conto, sulla scia dell’incazzatura trova una soluzione brutale. Ancora ritmo, questa volta dato dall’alternanza delle espressioni: nella prima è arrabbiato, nella seconda interrogativo, nella terza di nuovo arrabbiato, nella quarta deciso, nella quinta arrabbiato. Uno schema A-B-A-B-A. A soluzione quasi intravista, rientra l’antagonista/spalla, che prosegue il disastro strappandogli i pantaloni. Non lo vediamo, ma il nostro cervello lo registra grazie al meccanismo della closure, ovvero quello spazio bianco che sta fra una vignetta e l’altra, che ci permette di reintegrare i “fotogrammi mancanti”. È una gestione magistrale di questo espediente, dato il poco spazio a disposizione, e rende l’azione molto più efficace che non l’averla mostrata.
Addormentati? C’è qualcuno che è rimasto in piedi?
Ok. Si va verso il climax della comicità, con l’introduzione di altri due (in così poco spazio!) protagonisti: la vecchia megera, di cui basta una sola immagine per capire cosa stia facendo (la finestra e la tendina ce la collocano a casa sua, lo sguardo rivolto verso le due precedenti vignette ci fanno capire che sta parlando dello sventurato. Tanto basta); e il poliziotto, palesatosi – si deduce – in séguito alla chiamata della befana. Si noti l’accelerazione del montaggio: non ci sono scene intermedie; stiamo andando verso il finale e la velocità accelera bruscamente: da una successione di momenti collegati in sequenza siamo passati a una successione di situazioni separate da un lasso temporale più lungo.
L’apice si ha nella penultima vignetta, con lui ignudo davanti al gendarme e il canino usato come foglia di fico. Il canino è ignaro del disastro che ha combinato, e a Watterson basta disegnarlo placido (in fondo è in braccio al suo padrone) per farcelo capire. Questo aggiunge comicità alla situazione.
Nel finale, il protagonista ha raggiunto il suo scopo. Non importa che abbia distrutto l’uscio di casa, o che abbia turbato mezzo quartiere con schiamazzi e atti osceni e infine sia finito al gabbio: finalmente può leggere il suo fumetto in santa pace. L’espressione non è né di scoglionamento, né di tristezza, né di gioia, ma solo di concentrazione nella sua lettura preferita. Si chiude anche un cerchio, con il desiderio (leggere comics) all’inizio e la sua soddisfazione alla fine.